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L'IMPORTANZA DELLA TECNICA NEL NUOTO

Il costo energetico di un atleta che pesi 70 Kg che corresse un chilometro è di circa 70 Kcal. Nuotare lo stesso chilometro costa, ad un atleta che avesse la stessa economia del primo, circa 280 Kcal. Perché c’è una tale differenza? La risposta è negli attriti: l’acqua è quasi 1000 volte più densa dell’aria, una formidabile barriera per la nostra forma corporea.

Sfortunatamente non ci sono stati dati una forma ed un istinto che sono propri dei pesci; siamo esseri terrestri, e cerchiamo di applicare ciò che funziona nel nostro mondo anche nell’acqua. Queste nostre capacità, però, raramente sono efficaci nel mondo dei pesci. Per diventare nuotatori efficienti, occorre cambiare il modo di pensare al movimento in acqua.

 

Per assegnare un ordine di grandezze, uno sprinter che nuoti alla velocità del record del mondo sui 100 m (circa 8 Km/h) utilizza una potenza di circa 1000 W. Ci sono pesci che sono capaci di nuotare a 110 Km/h (la velocità di un ghepardo), con un consumo energetico spaventosamente ridotto. Una balenottera azzurra da 100 tonnellate, alla velocità di crociera di 30 Km/h, dovrebbe impiegare circa 350 W, eppure ne utilizza meno di 70 (calcoli dei fisici della Georgia Tech University).

 

Essenzialmente, ci sono due modi per essere più veloci in acqua. Il primo è diminuendo l’attrito allineando al meglio il corpo. Il secondo è aumentando la propulsione migliorando il funzionamento aerobico ed anaerobico. Di questi due, studi scientifici hanno trovato che la riduzione dell’attrito ha il potenziale di produrre i maggiori guadagni. L’attrito è la forza che produce rallentamento, provocato dalle turbolenze che si generano intorno al corpo quando questo si muove nell’acqua. Più il corpo è allineato, minore è il valore delle forze d’attrito.

 

Un autorevole studio stima che l’opportunità di miglioramento delle prestazioni ottenibile lavorando unicamente sulla posizione in acqua è superiore al doppio di quanto sia mai raggiungibile con un lavoro indirizzato unicamente sulla parte propulsiva, e ciò sarebbe particolarmente vero tra i triathleti. Il nostro istinto da animali “terrestri” ci suggerisce il contrario, e perciò sprechiamo innumerevoli ore in piscina soffrendo per raggiungere una forma fisica ottimale per combattere contro gli attriti, dando poca o nessun’importanza alle capacità tecniche necessarie per nuotare davvero al meglio.

 

Sulla terra, istintivamente sappiamo che per correre più velocemente dobbiamo muovere le gambe più velocemente, e così ci portiamo questa “conoscenza” in acqua. Il problema è che questa soluzione in acqua non paga. Più velocemente muoviamo le braccia e più l’acqua lavora contro di noi. La soluzione è lavorare sull’altra variabile, aumentando la lunghezza della bracciata o, per molti triathleti, diminuire la frequenza delle bracciate. Di nuovo, ricerche scientifiche hanno mostrato che i nuotatori che producono i migliori risultati in termini velocistici e d’economia del gesto sono quelli che hanno la bracciata più lunga. Un buon indicatore del miglioramento nell’economia del gesto del nuoto è il numero di bracciate che occorre per nuotare una vasca. Ridurre quel numero è il modo più sicuro per nuotare verso il proprio record personale su ogni distanza.

 

Sviluppiamo l’abitudine di contare le bracciate per ogni vasca, e poniamoci l’obiettivo di farne il 10% in meno. Una volta che ci siamo riusciti, il che è possibile solo lavorando sull’efficienza tecnica piuttosto che sulla forma fisica, cerchiamo di prolungare il tempo per il quale possiamo mantenere quel conteggio. Una volta che riusciamo a farlo per oltre 2’, vuol dire che è giunto il momento di darci un nuovo obiettivo nel conteggio delle bracciate, e così si ricomincia daccapo.

 

Il percorso migliore per nuotare tempi migliori viene dall’ottimizzare le capacità che ci consentono di ridurre gli attriti, in modo da essere più scorrevoli e simili ai pesci, non dall’aumentare i metri delle proprie sedute o la propulsione che non farebbero altro che rendere sempre più dure le battaglie con l’acqua. Invece di provare a soverchiarla, cerchiamo di sviluppare la capacità di scivolare in essa sprecando una quantità minima d’energia. Il modo migliore per ottenere queste capacità sarebbe di avere un coach capace e lungimirante a bordo vasca, ma ciò non è sempre sufficiente. Occorre che ognuno di noi sviluppi la giusta sensibilità.

 

La riduzione degli attriti

 

Probabilmente Terry Laughlin è la più grande autorità in fatto di studi sui nuotatori e sugli attriti che attualmente ci sia negli USA. Attraverso i suoi studi e pubblicazioni, promuove il concetto che il nuoto si basi su tre concetti, fondamentali per ottimizzare l’avanzamento in acqua. Il successo di chi ha seguito le sue analisi sono sotto gli occhi di tutti: basta chiedere a Popov, Thorpe e Phelps. Di seguito riporto quali siano i tre principi di base ed un esercizio per ognuno di essi.

·        Nuotare “in discesa”. La lamentela più comune, in particolare tra i triathleti, è che non sentono un ottimale galleggiamento. In effetti, ciò che affonda sono le gambe e le anche, perché la parte superiore ha una galleggiabilità dovuta a vaste sacche d’aria (polmoni, in primis, e tutti gli organi). Quando la parte inferiore del corpo affonda, aumenta la superficie d’attrito frontale perché una maggior percentuale del corpo è esposta al flusso d’acqua che sopraggiunge in direzione opposta. Così come l’aerodinamica sulla bici richiede una diminuzione delle superfici frontali, allo stesso modo l’idrodinamica è ottimizzata se la superficie frontale è minima.

Ciò che controlla la posizione di anche e gambe relativamente alla superficie dell’acqua è la testa. Quando la testa si solleva, le gambe affondano. Così, se si nuota con la testa che guarda in avanti, le gambe e le anche si abbassano e non passano più attraverso il “cilindro” che il busto ha creato nell’acqua: un po’ come portarsi appresso un’ancora! L’unica possibilità per aumentare la velocità è lavorare sulla propulsione, generando ancor più attrito. 

Se, comunque, si abbassa la testa appoggiandosi sul torace, le anche e le gambe si solleveranno seguendo il torace nel cilindro. Quando fatto correttamente, solo una piccola porzione della testa sarà al di sopra del pelo dell’acqua, come i glutei. Questi sono i segnali che si sta nuotando “in discesa”, e ciò potrà essere confermato da un osservatore a bordo vasca o da un videotape, che possono testimoniare la differenza tra la posizione normale e quella inclinata in basso.

Imparare ad appoggiarsi sul torace –“spingere in basso la boa”, come dice Laughlin- è la capacità più importante da conseguire nella tecnica del nuoto. Finché questo aspetto tecnico non sarà completamente acquisito, non ci sarà alcun motivo per andare avanti verso nuovi esercizi. Un modo per sviluppare questa sensibilità è nuotando a SLgambe una vasca, senza la tavoletta, con le braccia lungo il corpo. Quando si sta avanzando in questa posizione, occorre mantenere la testa guardando verso il fondo mentre ci si inclina verso il basso appoggiandosi sul torace (la “boa”), cercando di spingerlo verso il basso. Quando si alzerà la testa in avanti per respirare, si può notare l’immediato affondamento di anche e gambe, ma si potrà riportarle in orizzontale riassumendo la posizione di partenza con il busto e la testa inclinati verso il basso.

 

·        Nuotare “come un coltello”. Sulla terra, noi mammiferi avanziamo tenendo la linea delle spalle perpendicolare alla direzione di movimento. Ciò funziona al meglio nella meno densa aria, ma nell’acqua ciò provoca un maggiore attrito perché la superficie frontale è massima. Nuotano di lato, come fanno i pesci, si spreca meno energia e si va più veloci. Questa posizione, inoltre, consente di utilizzare al meglio i potenti muscoli dorsali (latissimus dorsi): perciò si ottiene il doppio beneficio di produrre minore attrito e di aumentare la forza propulsiva.

 

Nuotare di lato richiede il rollio di anche e spalle intorno alla colonna vertebrale. Tale manovra deve essere avvertita come se ci si dovesse girare sulla schiena, e ciò risulta innaturale: richiede un po’ di pratica perché ci si abitui. Un esercizio per migliorare il comfort nella posizione laterale è “ombelico verso la parete”. Si nuota, cioè, una vasca a SLgambe distesi, per esempio, sul lato sinistro, col braccio sinistro disteso in alto ed il braccio destro sul fianco. La nuca è spinta verso il bicipite del braccio disteso sinistro ed il viso è ruotato verso l’alto. La vasca successiva si cambierà posizione, distendendo il braccio destro. Sempre ricordarsi di spingere il torace (la “boa”) verso il basso: eseguire un esercizio non esclude l’attenzione dai precedenti! Una volta che ci si sente a proprio agio nella posizione laterale, si potrà provare a rullare da una parte all’altra, cambiando posizione ogni 3”: quando lo si fa, si deve portare il braccio dall’anca su per il fianco molto lentamente, in modo da poter notare come cambi il galleggiamento del corpo mentre il braccio si muove. Una volta che questo è arrivato all’altezza della spalla, si rulla in posizione prona facendo partire il movimento di rollio dalle anche, per portare entrambe le braccia distese in alto. Si mantenga la posizione per 3” concentrandosi sempre sulla spinta in basso di testa e torace e poi, nuovamente facendo partire il movimento dalle anche, si potrà rullare sull’altro lato ove si sosterà per altri 3”, e così via.

 

 

·        Nuotare “più alti”. Guardando i nuotatori d’elite, un aspetto appare subito evidente: essi estendono completamente mano e braccio dopo l’entrata in acqua nella fase di presa, e ciò permette loro di nuotare a grande velocità con bracciate che appaiono lunghe, mai affrettate. Ciò risulta in una frequenza di bracciata più bassa ma in uno sviluppo metrico superiore il che, come visto, è associato ad attriti minori ed economia ottimizzata. Inoltre, la gambata parte dall’anca, con un piegamento minimo del ginocchio, allungando ulteriormente la loro posizione in acqua. Ciò, tra l’altro, permette loro di ridurre l’attrito facendo rimanere le gambe all’interno del cilindro descritto in precedenza.

 

 

Nuotare con una bracciata lunga, che includa una fase di scivolamento e di presa mentre si rimane su un fianco richiede una pratica costante perché ciò diventi un’abitudine. Il conteggio delle bracciate per ogni vasca, cercando di ridurre il numero, è un modo per controllare quanto bene si stia facendo. Un esercizio per cercare di ottimizzare l’allungamento in acqua richiede che si nuoti una vasca, SL alternato, usando solo un braccio mentre l’altro è interamente disteso nella posizione di presa. Quando il braccio propulsivo inizia la sua bracciata, si rolli sul fianco come nell’esercizio descritto in precedenza, allungandosi in alto il più possibile con il braccio fermo. Al termine della bracciata, la mano in recupero tocca quella che è rimasta ferma mentre si rolla in posizione prona. A questo punto inizia la bracciata l’arto che era rimasto fermo in precedenza. Tale esercizio viene detto “catch-up”. E’ fondamentale che si continui sempre a spingere testa e torace verso il basso durante tutto lo sviluppo della bracciata, anche quando si è distesi su di un fianco.

 

 

 

 

 

L’allenamento del nuoto


Come sarebbe fondamentale comprendere prima possibile, occorre cambiare il modo di vedere l’allenamento del nuoto, considerandolo più come una serie di “pratiche” che di “lavori”. Così come i golfisti passano ore cercando di perfezionare lo swing ed i tennisti ripetono all’infinito il servizio, i triathleti dovrebbero dedicare una quantità di tempo considerevole alla rifinitura della tecnica, con esercizi ma soprattutto con una grande concentrazione sugli schemi motori corretti. Ci sono due modi per guardare alla distribuzione del tempo da dedicare in piscina agli esercizi di tecnica. Uno è stagionale ed ha a che fare con l’introduzione di una fase in cui le sedute di nuoto siano quasi unicamente tecniche, fase da introdurre all’interno del piano annuale d’allenamento. Un altro modo è l’inserimento degli esercizi all’interno di una data sessione.

   

·        Periodizzazione. Il periodo Introduttivo è il momento dell’anno in cui si può lavorare esclusivamente sulla tecnica. L’obiettivo da perseguire è di correggere ogni errore nella bracciata che possa essersi inserito nella dinamica del gesto, tornando agli esercizi di base come quelli descritti, rendendoli via via più complessi. E’ anche un momento favorevole perché si effettuino dei videotape per l’analisi del gesto. Nella fase di preparazione di Base, mentre si sta lavorando sulle capacità di base, occorre continuare a prevedere una buona mole di lavoro tecnico: i triathleti più carenti possono dedicare anche oltre il 50% del loro tempo in acqua al lavoro tecnico. Quando l’intensità aumenta nelle fasi Pre-Agonistica ed Agonistica, occorre prestare una grande attenzione a che la buona meccanica di bracciata sviluppata nei mesi precedenti non vada a deteriorarsi, nella ricerca di spingere la velocità a livelli più alti. Nella maggior parte dei casi ciò provoca un ritorno ad una frequenza di bracciata più elevata, perché questo è l’insegnamento del nostro istinto da terrestri. Si deve costantemente rivedere e rinfrescare la memoria muscolare inserendo esercizi di tecnica in ogni sessione in ogni momento dell’anno.

 

·        Sessione per sessione. Il momento migliore per eseguire gli esercizi di tecnica è quando si è freschi, all’inizio di ogni pratica. Sviluppare nuovi schemi di reclutamento di fibre muscolare significa riuscire a trovare l’armonia affinché ogni muscolo sappia contrarsi e rilassarsi con il corretto timing perché si verifichi il movimento desiderato. Se anche uno solo di questi muscoli è affaticato, questo si rifiuterà di lavorare, o lo farà con una non ottimale successione di tempi di lavoro-recupero, frustrando il nostro sforzo di migliorare la tecnica. All’inizio di ogni sessione, dopo un breve riscaldamento, muscoli e sistema nervoso sono recettivi al massimo per imparare nuovi movimenti.

Verso la fine, quando la fatica generale del corpo e locale di ogni muscolo iniziano a fare la loro comparsa, la concentrazione sulla tecnica corretta è fondamentale per migliorare. Non c’è alcun valore nel far pratica su un gesto corretto per poi abbandonare tutto ciò per cui si è lavorato quando la parte di allenamento vera e propria inizia.

La totale devozione al cambiamento è necessaria perché si migliori. Occorre essere preparati ad un iniziale scadimento nella prestazione e nella fiducia nella bontà di ciò che si sta facendo, perché nuove ed ancora incomplete capacità non faranno altro che dare un’iniziale impressione di “stare andando all’indietro, invece che in avanti”. Quando ci si concentra sulla meccanica della bracciata, altri nuotatori che di solito si riesce a “battere” in allenamento potrebbero essere più competitivi. In questi momenti occorre rimanere concentrati sull’obiettivo finale: nuotare più velocemente in gara, sprecando meno energie! Provare a “vincere” gli allenamenti potrebbe costare caro quando poi vincere davvero conta.

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